Nel motore di ricerca google ho digitato: voce oltre i confini. La prima pagina che si apre parla di integrazione. Poi c’è Ozi d’autore, il titolo di questo mia piccola esperienza qui. Poi una pagina su un mantra, un concerto di Josè Carreras, un festival per cantanti emergenti. Oltre i confini sembra molto vago quindi, non è un approccio che delinea precisamente un percorso, un obiettivo, un ambito. Sono entrata dunque nella pagina che parla di integrazione, perchè mi sembrava l’unica che offrisse qualche spunto e infatti e ho trovato questa frase, di un maestro di coro: “Cantare in coro è espressione di integrazione rispetto reciproco e accoglienza. Dall’antichità la musica e il linguaggio dei suoni hanno potuto esprimere il simbolo del rispetto dei diritti umani, unire e creare accordi. La musica e il linguaggio dei suoni hanno il potere di alleviare le sofferenze dell’intera umanità”. Bello! E’ quello che volevo dire io, quando ho messo questo titolo al mio intervento? L’integrazione è un superamento di confini? Da sola basta oppure ci vuole anche l’empatia, quindi attraversare i confini per andare verso l’altro. Il canto può aiutare, può veramente arrivare dove il dialogo fallisce? Forse. Ma addentrandomi meglio nel significato profondo della parola confine, mi trovo a fare i conti con ben altri confini, stanno dentro di me e non sarei sincera se non ammettessi di averne. Mi confino in me quando mi irrigidisco nelle mie convinzioni, e lo faccio più volte al giorno. Mi confino quando penso di essere così e cosà. E ti confino quando delimito il tuo modo di essere dentro le mie etichette. E confino il mondo quando non corrisponde a miei altri confini e in tutto questo mettere barriere direi che mi ritrovo soffocata dai confini. E cantare in coro aiuta, ma se non mi sono prima messa a cantare per me stessa, serve davvero? Serve, certo, è importante, è un’esperienza meravigliosa e infatti tra poco la faremo, ma serve prima di tutto avere sperimentato l’esperienza di rompere gli argini della voce. La voce è il muscolo dell’anima e io voglio allenarlo per bene ad aiutarmi a superare i confini che mi limitano, che mi chiudono, che mi impediscono di respirare a volte. Perchè anche sulla voce, come su altri aspetti di me, io ho messo dei limiti. E ho permesso anche ad altri di delimitare confini per me. L’ho definita, l’ho dimenticata, l’ho abusata. La voce mi rivela molto, aprirla al mondo, farla uscire da ambiti angusti, mi aiuta a superare l’idea troppo piccola che ho di me. Può mostrarmi il potere che ho dentro. Il poeta americano Gary Snider infatti dice che “il canto è potere dentro”. Quanti di noi hanno fatto esperienza di questo potere? Quanti di noi, almeno una volta nella vita, hanno “sconfinato”? Quando eravamo molto piccoli, neonati o poco più, gridavamo a squarciagola per esprimere dei bisogni sacrosanti. Non gridavamo pieni di rabbia, non distruggevamo la voce, anzi, la usavamo nel pieno del suo potere. Poi è arrivato un momento in cui qualcuno (di solito la mamma, o il babbo) ci ha intimato di fare piano, di stare zitti, di chiudere la bocca. Così abbiamo dovuto imparare che per ottenere quel qualcosa di cui avevamo bisogno gridare non era più funzionale. Se gridavamo perchè avevamo fame il biscotto al cioccolato non arrivava, piuttosto arrivava un rimprovero. E allora, dov’è finita quella voce che grida? In quale meandro della nostra psiche si è andata a nascondere? Io non sono una psicologa, io sono una ricercatrice, un’artista che ha fatto dell’esperienza vocale il proprio centro. Un centro con molte diramazioni. Di certo trovarmi qui a parlare di questo mi mette di fronte a una responsabilità verso me stessa. Sono chi sono? E chi sarei? Posso aiutare a sconfinare, ad andare oltre i confini di noi stessi, per rivendicare il diritto di essere una voce, oltre che di possederla? Domande, domande… Nel mio lavoro faccio cantare molte persone, le aiuto a ritrovare quel piccolo bambino interiore che ha voglia di gridare al mondo un bisogno sacrosanto. E’ un percorso oltre i confini interni, oltre la struttura dell’io adulto, un tornare a casa in qualche modo. Ed è un percorso pieno d’inciampi. Infatti non si torna a casa senza avere prima imparato strade nuove, non ha alcun senso. La voce sa attendere. Ci caratterizza così tanto, eppure la misconosciamo. Chiudo invitando tutti a immaginare di essere tante porte socchiuse che lentamente si aprono lasciando intravedere un fascio di luce che invade la stanza, ci trasforma in esseri di luce, ci invita a cantare e muoverci nel nostro pieno diritto di esistere.

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